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I Simboli e la Politica Culturale di Massa
(dalla parte di Simmaco, contro Ambrogio)

by G. Zincone

Simmaco utilizzò argomenti razionali, non neopagani, a favore della restituzione dell’Altare della Vittoria nel Senato romano.

Ambrogio agì da politico-teologo, ottenne che l’Altare non fosse ripristinato, si adoperò affinché gli Imperatori assumessero mitezza e subordinassero l’azione politica ai dettami della religione maggioritaria, ma non unica.

Alcuni decenni più tardi l’Impero, i cui soldati erano milizie straniere mercenarie, perse del tutto la sua parte occidentale.

Dopo le guerre Greco-Gotiche, i territori spopolati e immiseriti.

Incoronazioni longobarde tra le rovine del Palazzo Imperiale in Milano.

 

Utilizzo quale chiave di interpretazione definita la similitudine con la diatriba tra Ambrogio e Simmaco.

 

Ambrogio costituisce polo aspirativo ultramondano, dissocia la scala dei valori dalla realtà storica. Il suo colpire un simbolo, l’Altare della Vittoria, è profezia fattuale della fine dell’Impero.

In questo suo agire, Ambrogio è ideologico.

Cioè, intende conformare la realtà a un assunto a priori.

 

 Il procedere contrapposto, la “Versione di Simmaco” (Relatio tertia in repetenda ara Victoriae), è intramondano ed empirico, fino a chiarire quali benefici economici potessero derivare alla popolazione di Roma dalla ricostruzione dell’Altare.

 

La coesione culturale è fattore determinante resilienza nei tempi di crisi.

Essa si genera progressivamente nei periodi di ascesa delle civiltà, fino a costituirne la  continuità narrativa.

Dalla Storia, che notoriamente non si ripete,  propone anzi validi esempi di coesione culturale come spunto antifragile: la fermezza di convincimento concorde offre recupero di posizioni perdute e nuove formulazioni favorevoli.

 

L’assunto di base è che l’Occidente  sia da tempo in declino.

L’antefatto è l’apertura dei rapporti USA – Repubblica Popolare di Cina (diplomazia del ping-pong, 1972), il corollario è il tracollo del sistema socialista sovietico (1989), la conseguenza è il trasferimento preponderante di potere produttivo-manifatturiero, tecnologico e finanziario non tanto verso l’Asia quanto specificamente verso la RPC.

Insufficiente innovazione (negli ultimi 50 anni la scienza ha prodotto più affinamenti che innovazioni con minori avanzamenti effettivi); stagnazione dei maggiori soggetti finanziari (negli ultimi 20 anni il rinnovamento del grande capitalismo azionario si è progressivamente irrigidito) sono evidenti a meno di non voler tenere le palpebre chiuse. Questo condividendo Peter Thiel.

 

Ristabilire una coerenza ideologica dell’Occidente è per chi scrive fattore indispensabile.

Se si vuole sopravvivere, essa è da tradurre in politica culturale di massa con intento delineato attraverso le inevitabili variazioni sul tema.

L’operazione culturale di massa ha valenza strategica.

 

Un esempio favorevole riuscito in un passato recente: la produzione cinematografica di Hollywood, la proliferazione narrativa e la disseminazione museale di opere d’arte contemporanea hanno permesso il primato statunitense nel mondo, hanno creato desiderio di assimilazione e imitazione identitaria.

 

Un esempio sfavorevole riuscito in un passato meno recente è stata la politica culturale di massa del Nazionalsocialismo.  Essa permise di concentrare una supernazione (i tedeschi propriamente intesi, gli austriaci e tutte le minoranze di lingua tedesca dal Baltico al Mar Nero) e i suoi alleati assimilati verso una impresa superumana  non realizzabile.

 

Secondo assunto di base è che la politica culturale di massa Occidente soggiacia a un complesso di regole di comunicazione e credenze autoimposto ideologico (i.e. non empirico) assolutizzante (stigmatizzazione del contraddicente).

(Alcune sigle e definizioni correnti: relativismo, mainstream, Woke, cancel culture, LGBTQ).

 

Se centri decisionali competenti condividono la necessità e approvano almeno nel medio periodo, i passaggi da effettuare sono molteplici.

Esprimo un abbozzo sintetico.

 

  1. organizzare dispositivo di comunicazione classica (stampa, televisione), neomediatica (siti internet e su piattaforme) che ponga attenzione sino al minimo dettaglio per evitare aggressioni destruenti durante la fase di costruzione;
  2. predisporre modelli emulativi (generare comportamenti e stili attrattivi);
  3. coinvolgere prima le élites, poi le pseudo-élites divulgabili (mediaticamente esposte, con corollari di gestione competente dei social) e solo in seguito la massa;
  4. generazione inventiva, non replicativa (il passato sconfitto è dissuasore massimo).

 

Questo richiede: centri decisionali competenti, coerenza temporale, programmazione adattiva, previsione espansiva frattalica.

 

La finalità è rigenerativa, quindi includente. La discriminazione è regressiva.

Michel Onfray indica tra i suoi riferimenti Bergson.

Se venisse meno lo slancio vitale, e siamo sulla buona strada, la partita sarebbe persa in partenza.

Quindi, non il richiamo al passato, ma la spinta al rinnovamento consapevole.

Per questo esprimo l’opinione che il liberalismo o persino il conservatorismo libertario non siano strutture di destra, conservatrici.

 

Dal punto c), cioè dal suggerito ordine di coinvolgimento temporale, astraggo un tema attinente ai simboli.

Non insisto sul potere del simbolo nella politica culturale di massa.

Ricordo il fortissimo valore simbolico dell’arte nel corso storico di tutte le Civiltà, fino alla difficile decifrabilità dell’arte contemporanea.

Quest’ultimo tema, incrociato con il potere (economico, decisionale e semantico) delle élites, conduce direttamente a una lettura straussiana.

Cioè di scrittura (per Leo Strauss, che si riferiva alle élites) esoterica o, da lezione invalsa dei traduttori italiani, di scrittura reticente.

 

Al riguardo le élites devono comprendere sia la inevitabile transitorietà della loro stessa posizione, sia il persistente netto maggiore potere di indirizzo culturale dell’Occidente. Entrambi gli argomenti sono strettamente connessi.

 

La costituzione di un valore simbolico richiede un investimento economico e progettuale. Questo comporta responsabilità e scelta.

In osservanza al sistema (ideologico) di regole da alcuni anni adottato e attualmente in vigore, la scelta e il conseguente investimento sono indirizzati su produttori di simboli con caratteristiche omologate (origine e legame diretto con culture oppresse/secondarie; appartenenza a minoranze; espressione di contenuti facili per coinvolgere – sempre ideologicamente – il pubblico vasto, cioè la Massa).

Questo sottomina il sistema stesso di cui le élites beneficiano, prevedibile il ricambio.

 

Faccio riferimento diretto (omettendo i nomi) a un episodio recente.

Una organizzazione di altissimo livello (élite) organizza il lancio di un artista in vista di un evento tra i maggiori e i più innovativi nell’arte mondiale (ancora una volta élites   culturali-economiche e in più le circostanti pseudo-élites divulgabili).

Il lancio  include la produzione di un filmato nel quale l’artista opera (finge di operare) su uno sfondo estremamente prolungato (circa l’80%) di narrazione simil-documentaristica delle vicissitudini della etnia di origine dell’artista, dalla vita originaria alla oppressione e alla strage.

La qualità del prodotto artistico (finzione di pittura di oggetto e tela già dipinti) è eufemisticamente limitata.

L’investimento è sensibile, a chi scrive risulta un budget di lancio dell’operazione impressionante in rapporto alla qualità delle opere, del filmato in termini di originalità ed editing.

L’obbedienza ideologica è assoluta.

La posizione di Ambrogio.

 

Percepisco: le élites sponsorizzano uno scenario da lemming versione Walt Disney.

Esse saranno (forse) le ultime a cadere dalla scogliera.

Anche se hanno trincerato la loro posizione dominante, è semplicemente inevitabile che essa muti nel tempo.

 

Chiudo con la domanda: esiste (ancora)  una consapevolezza nelle élites che decidono?

 

Vogliano essere reticenti (esoteriche), empiriche, strategiche. Agiscano.

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