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Zulfikar Ahmetovic

by Zulfikar Ahmetovic

Il mio nome è Zulfikar Ahmetovic.

Dicono che io sia nato dalle parti di Visegrad,  vi manderò una foto del ponte che diede titolo al romanzo di Ivo Andric.

Perché sono musulmano e sono nato in Bosnia Herzegovina prima della guerra, sono considerato una vittima da compensare.

Il mio nome è un nome di famiglia, anche mio nonno si chiamava Zulfikar e mia nonna Fatmah.

Sono comunque sveglio, grande e grosso.

Uno che non conosce i Balcani, la Rumelia dei turchi (la terra dei Rum, cioè dei Romani) mi prende sul serio.

Così sono qui, in una stanza con bagno in affitto dentro una casa di legno come si usa da queste parti.

Le case nei Balcani sono in pietra e durano secoli.

La sera ogni tanto prendo la bicicletta e raggiungo University Avenue, se ho voglia mangio un Kebap e qualche altra volta mi infilo in un bar. 

Di rado torno a casa senza soldi, lo ammetto: mio nonno mi ha insegnato bene il mestiere.

Alla mattina pedalo fino al Camino Real, attraverso a un sottopasso vicino alla vecchia libreria Printer’s Ink, pedalo fino alla Casa Madre dove lavoro.

Faccio un po’ di tutto, la’ dentro.

Io sono un segretario a disposizione dei vari docenti.

Il Capo mi vuole bene, secondo me lei ha capito chi sono davvero.

Come origini, intendo.

Mi fa persino giocare come quarterback di riserva nella sua squadra di Denver.

Sì, perché il Capo possiede una squadra di football.

Ogni tanto la accompagno a dei concerti, dove mi fa stare in piedi accanto al pianoforte, a girarle le pagine dello spartito.

Sì, perché il Capo è una pianista straordinaria, se non fosse già colei che è avrebbe il suo nome sui manifesti e le registrazioni in vinile.

Dicevano del mio nome: Zulfikar non è un nome di un uomo, ma di una spada.

La spada che Ali il bel cavaliere lanciò al Profeta che aveva perso la sua.

Il Capo si preoccupa per il mio futuro, così mi ha messo in contatto con il suo amico italiano professor Pelanda e con qualche esitazione di quest’ultimo lo ha convinto ad accettare i miei Scritti Corsari.

Dopotutto sono uno della Grande Famiglia, un segretario sui generis, uno che respira il mondo da dentro la Torre.

 

Quello che il professor Pelanda ha capito, quello che il Capo ha intuito, quello che nessun altro nella Torre sembra saper riconoscere.

 

Il mio vero C.V.

 

Io sono Zulfikar Ahmetovic, moslemi ziganje .

Sono uno zingaro musulmano, se vogliamo essere corretti sono un Rom che Porta il Corano.

 

Tanto prima o poi ci usano.

Tanto prima o poi ci danno la caccia.

Un po’ come gli Ebrei.

Loro dicono che impastino gli azzimi con il sangue dei bimbi cristiani.

Lo dicono spesso, io non credo sia vero.

Mio nonno Zulfikar, per esempio, era innamorato pazzo di una bellissima ebrea di Montenegro .

Ma lei andò in italia e divenne la zia di un mio amico italiano che lavora anche lui con il professor Pelanda.

Così metto la sua fotografia sul prossimo articolo e magari il mio amico italiano è contento.

Io credo invece che sia vero che noi moslemi ziganje abbiamo impalato i cristiani (lo scrive anche Andric). 

Mia nonna Fatmah diceva che suo padre lo aveva fatto e che non ne andava per niente fiero.

È vero inoltre che infiliamo un ramo di biancospino nel cuore dei vampiri per ucciderli.

E questo lo ha fatto mio nonno Zulfikar e io l’ho visto e so che I vampiri esistono davvero.

 

Mio nonno diceva anche che il Padre della Patria BiH da ragazzo era stato un ustascia che ammazzava gli ebrei e gli zingari come noi. Che era uno delle SS Handschar (cavoli, sempre le spade di mezzo).

Alja gli dava fastidio solo a vederlo in TV.

 

Ah sì, io parlo almeno sei lingue e cinque dialetti.

Ho un decentemente remunerato impiego come segretario dei docenti alla Hoover institution di Stanford, la Torre, dove sono il servitore benvoluto del Capo.

Il suo steward notturno, per dirla alla Jünger.

 

Ma soprattutto, se ne ho voglia, riconosco un vampiro lontano tre miglia e so come si fa a farlo fuori.

So guardare negli occhi le persone e farle contente mentre gli prendo il portafoglio o l’orologio nei bar da nerd ricchi di University Avenue.

Se scopo una ragazza mi salta fuori odore di selvatico e sulle mani delle persone so leggere il loro passato e magari anche il loro futuro.

 

Ma soprattutto, cosa che il professor Pelanda forse ha intuito, da quarant’anni io sono freelance  nella intelligence, ho aiutato la Compagnia nei Balcani e anche altrove.

 

Ah adesso il Capo mi chiama, vuole che la scorti a cena con Peter (Thiel, ovviamente) e mi chiede se il suo completo di Armani le stia bene.

“Sì, Condoleeza”, le dico.

E, a proposito, i Vampiri esistono davvero.

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