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Esodestini

Elon Musk e il chip nel cervello

Quando sulla rivista Wired nel 2000 Bill Joy, co-fondatore di Sun Microsistems, scrisse l'articolo "Why The Future Doesn't Need Us» perché il futuro non ha bisogno di noi, profetizzando che nel 2030 ci sarebbe stata una combinazione sostituiva dell'Homo naturale via fusione tra intelligenza artificiale e biologia, chi scrive fu scettico sui tempi e sul timore di una catastrofe, ma credette al vettore evolutivo e iniziò un programma di ricerca, presso il suo corso «International Futures», University of Georgia (Athens, Usa), sulla relazione tra capitale di investimento e «biocibernazione» (biocybernation).
In questa veste, connessa al ruolo di advisor di un fondo dì Venture Capitai statunitense, espresse una duplice visione «Asimov»:
a) bisognava tenere la rivoluzione tecnologica entro argini per evitarne sia esondazioní portatrici di dissenso sia inaridimenti causa di gap competitivo;
b) per attirare investimenti di capitale una start up a forte impatto bioetico doveva trovare una prima missione nel settore della salvazione medica per ottenere consenso e poi passo dopo passo praticare traiettorie più futurizzanti.
Per inciso, chi scrive fece pubblicazioni plurime in Italiano su «Il Foglio», rubrica «scenari», fino al 2015 focalizzate sul conflitto tra tecnica e morale (consenso) che implicava come soluzione un'interazione co-evolutiva tra le due. Per esempio, nel libro «
Futurizzazione» (Sperling, 2003) propose una 'cibernetica tutoriale», dove il discente interagiva con un'intelligenza ausiliaria esterna perché il consenso (fonte di capitale) era già in vista, ma un chip nel cervello non lo sarebbe stato: troppo presto.
Elon Musk ha segnalato, usando la sua fama, che ormai è tempo di mettere chip nel cervello. Da un lato, segue la logica prudenziale di iniziare con tecnologia che permette alla medicina di risolvere problemi di incapacità patologica finora irrisolti, campo di ricerca con iniziative molteplici da quasi due decenni. Dall'altro, ha alluso ad uno scenario totalmente discontinuo: «cibertelepatia », funzioni cognitive e di controllo fisiologico iperpotenziate, ecc.
Alcuni medici sono subito intervenuti enfatizzando la necessità di sperimentazioni molto prolungate e di limitazioni bioetiche. Altri hanno evocato scenari "cyborg» o «matriz» coincidenti con i timori di Bill Joy.
Non a caso il suo articolo del 2000 e stato riscoperto nel 2023 da parecchi ricercatori quando la Food and Drug Administration (Fda) ha dato il permesso per sperimentare impianti cerebrali evoluti.
Ma la comunicazione allusiva di Musk ha sfondato la barriera bioetica: in pochi giorni è montata un'eccitazione diffusa oltre le terapie mediche.
Musk, in ritardo su Chat-Gpt e simili, ha voluto spiazzare il settore alludendo ad una intelligenza artificiale che interagisce con un cervello potenziato? C'è uno stimolo nascosto di ricerca militare? Non è chiaro, ma è realistico avvertire il mondo del capitale che è iniziata un'età della biocibernazione che forzerà le relazioni tra tecnica e morale.


La relazione tra capitale e inizio della biocibernazione

E’ tempo per il capitale di valutare investimenti sulla biocibernetica o non ancora, in particolare su endo-protesi di potenziamento del cervello? L’avvento di un’Età della “biocibernazione” – nome creato da chi scrive negli anni ’80 - è stato profetizzato già da tempo. Nel 2000 Bill Joe, direttore scientifico di Sun Microsystems, scrisse: nel 2030 le tecnologie dell’informazione, bio e nano si fonderanno generando una speciazione post-umana. Ancor prima Kurzweil lanciò programmi di potenziamento tecnologico delle facoltà umane e di discontinuità evoluzionistica: la “singolarità”. Ma le aziende pronte a mettere sul mercato biochip cerebrali rinunciarono per timore di dissensi che avrebbero compromesso la capitalizzazione iniziale in Borsa. Così come Google interruppe, per problemi di vulnerabilità legale in materia di privacy, la vendita di occhiali costruiti come protesi di potenziamento delle funzioni visive-informative del cervello. L’intento dichiarato da Musk di costruire chip da impiantare nel cervello segnala che ora i tempi sono maturi?
Il potenziale tecnologico c’è. Nei sistemi autoritari la ricerca è più avanzata per l’assenza di problemi di consenso, ma è scarsa la vera libertà di impresa. L’innovazione, infatti, richiede o la guerra o una relazione amplificante tra libertà, tecnologia e capitale e in questi la prima non c’è. Nelle democrazie c’è, ma manca il consenso a causa del conflitto tra tecnica e morale. Chi scrive invocò un gizmo nella testa quando quattordicenne nel 1965 giocava a scacchi ad occhi bendati nel Caffè San Marco di Trieste, all’ombra della più grande sinagoga d’Europa. I limiti del cervello umano, forzati, erano evidenti e frustranti. Nell’evoluzione, infatti, ha avuto successo, finora, la cooperazione tra individui e non il supercervello illimitato. Tuttavia, la complessità crescente dei compiti cognitivi ha bisogno di un secondo cervello ausiliario, un “metagolem”. Ma ciò genera orrore nei più. A meno che non sia capace di salvare, disse allo scrivente un vecchio rabbi di passaggio. Tale battuta mostra la via: trasformazioni della configurazione umana naturale sono accettabili solo se chiaramente salvatrici. Per esempio, controllo di Alzheimer e Parkinson, ripristino di vista e udito, autoriparazioni in generale. In sintesi, si può ipotizzare che i biochip cerebrali possano ottenere consenso solo se chiaramente finalizzati a salvazioni mediche. A tale condizione l’investimento è valutabile in un orizzonte di 10-15 anni. Aperta questa porta poi, come accade da secoli, la morale si adeguerà alla tecnica.

Senext: gli anziani potranno lavorare fino ad 80 anni e bisogna lasciarglielo fare

Le demotendenze mostrano che nei prossimi decenni vi sarà in America ed in Europa, più avanti in Cina, un picco di anziani in relazione alla popolazione giovane. I dati medici mostrano un’estensione progressiva della vita media che sta andando verso i 90 anni. Altri fanno ipotizzare capacità lavorative per molti fino a quasi gli 80. Pertanto l’anziano sta passando da un valore economico passivo ad uno attivo. Ma la cultura politica e tecnica non sta adeguandosi a questa nuova evidenza, sextech a parte. Anzi, l’anziano è sempre più marginalizzato e de-valorizzato. In Italia ne è sintomo recente l’agghiacciante concetto di far lavorare a mezzo tempo un anziano per lasciare spazio ad un giovane come se il primo fosse ormai “a perdere”. In particolare, la de-valorizzazione dell’anziano è segnalata dal regime obbligatorio del pensionamento. Questo è genocidio in quanto il pensionamento forzato nei confronti di una persona ancora attiva ne determina la morte sociale, per marginalizzazione. E, se gli studi medici consultati dalla rubrica fossero verosimili, anche causa di morte vera e propria per depressione psicologica. La medicina è in grado di far vivere un umano fino ai limiti, ma non è capace di mantenerne elevata la qualità della vita. Per esempio, da un lato vediamo correre per strada veicoli a due ruote robotizzati capaci di autoequlibrio, dall’altro anziani che non riescono a camminare. Una sana cultura tecno-capitalista userebbe tale tecnologia per costruire esoscheletri robotizzati che, indossati dall’anziano incapacitato, lo farebbero muovere autonomamente. Ma non si vedono perché il diritto dell’anziano non li prevede e quindi senza domanda, considerando che la società condanna l’anziano a non poter lavorare per guadagnare quanto necessario per comprarsi la salvazione tecnologica, l’offerta non c’è. Pertanto il primo passo è modificare tale diritto. Pensione facoltativa dopo una certa età a seconda del tipo di lavoro e senza divieti o disincentivi per nuove occupazioni. Diritto, in sintesi, ad una vita piena fino all’ultimo. Alla domanda su quale beneficio possa compensarne i costi, la riposta è sistemica: la previsione di una vecchiaia attiva e non marginalizzata è un fattore di fiducia che si traduce in maggiore propensione al consumo e, quindi, in sostegno alla crescita. Inoltre, l’estensione facoltativa dell’età lavorativa fino agli 80, ed oltre in alcuni casi, aumenterà il tasso di occupazione e, alla fine, quello di produttività. La voglia di lavorare di tanti anziani, e la loro capacità di reddito, stimolerà la domanda di esoscheletri, di sistemi esperti tutoriali portabili per l’aggiornamento continuo, di nuove generazioni di stimolanti medici, in generale di tante servo-tecnologie utili per demoltiplicare gli sforzi fisici. L’anziano attivo espanderà il mercato. Non tutti gli anziani potranno essere attivi? Pazienza, l’importante è ricalibrare diritti e calcoli di valore economico per quella parte che lo potrà, qui stimata in circa il 60% della popolazione anziana next. Si consideri anche che, per la prima volta nella storia, gli anziani del futuro avranno avuto un’istruzione mediamente evoluta e quindi la loro mente potrà rigenerarsi in continuo via stimolazioni intellettuali. Il diritto alla vita deve estendersi alla tutela della vecchiaia attiva, dall’alfa all’omega. Punto di scenario: la tecnologia lo rende possibile, diritto e cultura invecchiati e stagnanti lo ostacolano.

Spunta l’ecopragmatismo in sostituzione dell’ambientalismo restrittivo ed incompleto

Ecopragmatismo. La rubrica desidera promuoverlo come nuovo criterio di politica ambientale e lo segnala alle delegazioni europee che in questa settimana parteciperanno all’ecosummit di Doha. Finora si è tentato di intervenire sulle fonti del cambiamento climatico invece di rendere gli insediamenti umani ed i biosistemi meno vulnerabili al cambiamento stesso. Fin dai primi anni ’80 il rubricante ha cercato di integrare l’analisi dei rischi (probabilità dell’evento e del danno ) con quella di vulnerabilità (resistenza di un sistema ad un evento) mostrando che la riduzione della vulnerabilità implica quella del danno atteso e ciò rende meno significativo l’evento (Disaster and Sociosystemic Vulnerability, DRC, 1981). Infatti è irrilevante che il pianeta cambi, entro certe soglie di variazione, se i sistemi antropici potranno operare comunque. Ma tale impostazione fu sempre rifiutata dagli ambientalisti che deificano la Natura e da quelli che vedono nell’ambientalismo uno strumento per sconfiggere il capitalismo. Costoro puntavano e puntano ad evitare l’evento costringendo il sistema antropico ad adeguarsi ai limiti naturali e non a ridurre la vulnerabilità all’evento stesso. Da questa analisi incompleta nacque l’idea che per prevenire catastrofi ambientali bastava abbattere le emissioni serra. Ma tale abbattimento, se troppo rapido, pregiudicherebbe lo sviluppo globale, scatenando un conflitto tra sicurezza ambientale e lavoro, e non fermerebbe comunque i cambiamenti planetari per altri fattori. Da un lato, una graduale riduzione delle emissioni è necessaria per la qualità dell’aria. Dall’altro, la priorità è il minimizzare l’ecovulnerabilità affinché le attività umane restino operative anche in presenza di cambiamenti ambientali estremi ed imprevisti, quali desertificazione e alluvioni, caldo e freddo, ecc. L’ecometodo “Kyoto” corrente, oggetto di sviluppo a Doha, si affida al solo taglio delle emissioni. Così si crea un mito: puoi stare tranquillo nella tua casetta senza doverla innovare, basta che i cattivi taglino le emissioni. Pericoloso. Se si deriva uno scenario si troverà che tra un secolo ci potremmo trovare in una situazione di disastro ambientale non contenuto perché nei decenni precedenti si è puntato a soluzioni irrealistiche (conflitto tra ambiente e sviluppo o soluzioni troppo incomplete) senza ridurre l’ecovulnerabilità. Lo scenario, invece, derivabile dalla messa in priorità della vulnerabilità rende probabile che tra un secolo avremo città climatizzate, infrastrutture viabili anche in caso di diluvio, cicli artificiali dell’acqua potabile, piante rigenetizzate per contrastare i deserti o per resistere alle piogge acide, ecc. La critica a questa impostazione è che costerà tantissimo. La risposta è che, invece, porterà ipersviluppo tecnologico, cioè che sarà un’ecopolitica non solo alleata del lavoro, ma anche stimolativa di una rivoluzione tecnologica di portata ben maggiore di quella spinta dall’attuale e timidina “economia verde”: nuovi materiali, megamacchine robotizzate, una nuova tecnosuperficie sul pianeta finalmente indipendente da esso. Realistico? Da qualche anno sono visibili nel mondo esempi di città che riducono la loro vulnerabilità e l’ecopragmatismo sta finalmente spuntando. Ora si tratta di teorizzarlo meglio, chiarendo la possibilità di una nuova ecologia artificiale che renda i sistemi antropici il più possibile indipendenti dalle variazioni ambientali. Poi, tra qualche secolo, usciremo dal pianeta creando nuovi esohabitat anche grazie all’esperienza artificialista così maturata.

C’è una relazione tra la nuova connettività e la costruzione futura di un cosmo artificiale

Photo courtesy by Nasa
Photo courtesy by Nasa

Cari futurizzanti, da tempo la rubrica vi trascura e in 132, da inizio anno, lo avete fatto notare con e-mail rammaricate. Per riparazione il rubricante vi invita a co-sviluppare lo scenario più estremo ed eccitante che sta tratteggiando con i suoi ricercatori, per esercizi di remotica, disciplina sperimentale che connette il presente con un futuro lontano. Simulazione cosmonext: l’unica possibilità di salvazione dell’Uomo, nel dominio della fisica, in un universo in dispersione dove le stelle si spegneranno tutte creando l’impossibilità della vita, è quella di costruirne uno nuovo che resti “acceso” per sempre. Tale cosmo artificiale dovrebbe essere dotato di un potenziale illimitato di entropia negativa, cioè di “calore” ovvero capacità (auto)costruttive, per contrastare l’inevitabile tendenza entropica (morte termica) dell’universo naturale circostante. Prima incognita: sarà possibile? Lo sarà perché la realtà, in generale, è immensamente flessibile ad essere creata. In particolare, nella realtà generata dalla fisica di questo universo l’entropia è lasca, cioè lascia spazio al suo contrario: la neghentropia. La vita, parafrasando Schroedinger, è come un’isola neghentropica in un oceano entropico. Alla fine questo la sommerge, ma per un po’ non ci riesce. Pertanto, espandendo la temporaneità delle isole neghentropiche, si può pensare che a partire da questo universo se ne possa disegnare uno diverso dove prevalga l’inversione del Secondo principio della termodinamica. Seconda incognita: sarà possibile un potere cognitivo così forte? La mente individuale ha biolimiti che le scienze neuronali stanno individuando. Ma questi possono essere superati da sistemi culturali immessi nella mente stessa. Per esempio, senza il sistema culturale “matematica” una mente ha limiti computazionali, con tale sistema la stessa ne ha di meno. La connettività tra scienziati, permessa dalle nuove reti, sta migliorando la conoscenza. Il trend mostra una progressione geometrica che, se proiettata, fa ipotizzare capacità oggi impensabili già nel futuro prossimo, precursori di megacognizione in quello remoto. Ma come indirizzarle affinché possano muovere, tra migliaia di anni, masse di materia, energia ed informazione tali da creare un cosmo auto-evolutivo, iniziando con esperimenti nell’esocircondario? La risposta è: megamacchine, soli e pianeti artificiali, su un substrato di nuova materia autorigenerativa. Ma, terza incognita, cosa può favorire o interrompere questa direzione remota? Cambiamento continuo e progresso tecnico sono rari nei gruppi umani, più frequente la loro riproduzione inerziale, la società occidentale costantemente cangiante un’eccezione. Ma si osserva che l’irruzione nella storia della comunicazione e connettività di massa sta rendendo mestastabile, cioè più propensa al cambiamento, l’intera società planetaria. L’esercizio cosmonext si è bloccato sulla seguente divergenza tra ricercatori: (a) chi si pone il problema di come orientare il cambiamento, già nel presente, verso la direzione di salvazione remota, senza trovare soluzioni; (b) chi ritiene che la connettività di massa, organizzando in sistema l’istinto di salvezza degli individui, produrrà una spinta spontanea verso la direzione remota senza necessità di orientamenti gerarchici. Il rubricante ha scoperto, sentendosi un po’ fesso, di non aver ancora capito la novità della società della comunicazione e della connettività totali, forse un nuovo tipo di configurazione antropica. Dio che si autocostruisce? Benvenuti i futurizzanti che aiuteranno a far ripartire l’esercizio da qui.

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Astronavi robotizzate per rilanciare la conquista dello spazio

Astronavi RobotizzatePhoto courtesy by Nasa

Nel 1969, epoca del primo sbarco sulla Luna, la costruzione dei primi esohabitat fuori dalla Terra era scena rizzata dopo due secoli. Oggi tale evento non è nemmeno probabilizzabile a causa della regressione dei programmi spaziali.  Questi sono ostacolati dai costi enormi richiesti per ospitare essere umani nei veicoli. Sono ridotti nel raggio da un calcolo che trova l’utilità (militare e civile) solo per mezzi che operino nell’orbita. La presenza umana in astronavi e basi spaziali è seriamente compromessa da problemi medici generati dall’assenza di gravità. Che creano dubbi anche sugli effetti dell’ipogravità, tali da archiviare  progetti privati quali una Las Vegas sulla Luna e la sua competitività commerciale principale, cioè il sesso ad un sesto della gravità terrestre. Restano solo, con problemi, progetti di turismo (sub)orbitale. La pressione strategica utile ad alimentare la competizione per la conquista dello spazio remoto è poca perché la Cina è ancora lontana dal poter sfidare l’America  e l’Amministrazione Obama ha abbandonato nel 2010 la politica spaziale di superiorità decisa da Bush nel 2006 per problemi di budget. Il concetto di esplorazione spaziale sta tornando dal dominio all’azione puramente conoscitiva. La rubrica è molto preoccupata da questa esoregressione perché interrompe il progresso in un settore chiave dell’ambizione antropica. Come rilanciarlo?

 

Con la seguente esostrategia, proposta all’industria aerospaziale americana ed europea: (a) creare astronavi robotizzate senza umani, per questo con costi molto ridotti, guidate da intelligenza artificiale (mettere in orbita le componenti con lanciatori a basso costo per assemblarle nello spazio); (b) tale possibilità permetterà all’industria occidentale di convincere i governi che potranno puntare al dominio spaziale oltre l’orbita a costi sostenibili; (c) dimostrare, ed è facile, che il controllo dell’orbita, e quindi della Terra, richiede capacità di presidio esterne estese fino a tutto il sistema solare, scatenando così una nuova esocompetizione tra potenze; (d) dotare i nuovi esorobot di capacità costruttive nello spazio profondo, per esempio la fusione di metalli degli asteroidi, con cui creare cantieri, navi più grandi e esohabitat a gravità artificiale predisposti per umani. Ma esiste un’intelligenza artificiale così evoluta? Basta amplificare la tecnologia corrente dei droni accelerando l’evoluzione di cervelli artificiali più capaci di decisioni autonome. Il punto più critico è la scala degli investimenti: servono consorzi industriali euroamericani che spingano l’integrazione tra Nasa ed Esa. Piero? 

Poiché la realtà non esclude universi artificiali nasca la cosmologia della costruzione

Vacanze intelligenti. La vera passione di ricerca del rubricante è quella di costruire un linguaggio sistemico in grado di sovrascrivere gli altri (disciplinari) rendendoli supersintetici ed integrabili come strumento di dominio della realtà. Tale passione – così come la Teoria integrata dei sistemi - non trova ambito universitario perché troppo generalista ed il rubricante deve perseguirla privatamente, potendola applicare vagamente come approccio multidisciplinare negli ambienti di ricerca organizzata dove insegna e produce scenari. Una sofferenza cognitiva. Interrotta periodicamente dall'individuazione di luoghi che facilitano la supersintesi, tutti in deserti. Questa estate una gita in quello del New Mexico, in un punto dove il cielo stellato appare toccabile, è stata molto produttiva. Anzi: terapeutica. Due recenti scoperte della cosmologia permettono di pensare la realtà oltre i suoi limiti apparenti: (a) l'universo nel quale siamo inseriti continua ad espandersi spinto da una energia ignota (oscura) ma con effetto individuabile; (b) ai confini dell'universo le leggi della fisica appaiono violate, per esempio la luce sembra perdere energia, cosa che ne contraddice il principio di conservazione e, in generale, le leggi di simmetria con cui la fisica descrive le costanti del nostro universo. La seconda osservazione è in realtà apparente. I singoli fotoni conservano l'energia, ma l'osservatore che guarda il fenomeno complessivo percepisce una dissipazione. Ciò anche significa che un osservatore con strumenti di visione vincolati ai principi di simmetria (e della fisica relativistica) si trova in condizione di "indecidibilità" quando osserva i fenomeni verso il limite. Problema di distanza? Qualcosa di più: se non c'è un osservatore in grado di porsi in condizioni di decidibilità complessiva allora la realtà è suscettibile di trasformazione. Supersintesi: la realtà è immensamente flessibile ad essere creata perché non ha una struttura rigida, totalitaria. Inoltre l'ambiente esterno al nostro universo non sembra ostacolarne l'espansione. Le due considerazioni individuano la possibilità di creare universi a nostro piacimento. Se così, le conseguenze antropiche sono: (1) potremo sfuggire alla morte termica (entropia) del nostro universo costruendone uno artificiale a noi adatto; (2) avendo un futuro infinito potenziale la riproduzione sociale e culturale può orientarsi verso l'obiettivo di costruirlo realmente, ogni generazione con la missione di fare un passo tecnologico in più lungo questa direzione storica ; (3) la "cosmologia della costruzione" dà un significato alla nostra vita.

La biorivoluzione sta imparando a gestire il consenso

Dal 1998 questa rubrica tenta di scenarizzare l'età della biocibernazione – generazione artificiale di sistemi viventi - cercando i modi per evitare che inaridisca per dissenso o esca dagli argini per irresponsabilità. In 12 anni ha suggerito, qui e altrove in diverse lingue, i seguenti criteri: (a) alla scienza, evitare il conflitto tra tecnica e morale adattando lo sviluppo della prima al senso comune corrente, per evitarne il definanziamento, e confidare sul fatto che poi la morale seguirà la tecnica quando ne saranno evidenti i vantaggi; (b) ai governi dell'occidente, limitare le regolazioni prudenziali all'essenziale per evitare che la bioricerca si trasferisca dalle nazioni democratiche a quelle autoritarie creando sia uno svantaggio competitivo sia il rischio, per mancanza di istituzioni di controllo, di catastrofi; (c) ai futurizzanti, prevedere lo spostamento nello spazio extraterrestre delle sperimentazioni più biodiscontinue, quali gli habitat a totale ecologia artificiale e la speciazione esoantropica e post-umana, sia perché l'ecologia terrestre limitata non potrebbe sostenere biosistemi illimitati sia perché non vi sarebbe consenso; (d) mai scontrarsi con la Chiesa cattolica perché è un alleato potenziale legittimante per l'artificializzazione: il suo credo trasferisce all'Uomo il potere divino di creare e la responsabilità tutrice, quindi trasformativa, nei confronti della natura. L'annuncio del primo esempio di creazione artificiale di una cellula è un'occasione per valutare la logica di queste raccomandazioni.

La prudenza ha ispirato l'annuncio di J. Craig Venter: saranno create cellule utili per l'energia e per vaccini meglio mirati, punto. I media, invece, lo hanno spettacolarizzato, estendendone i significati in modo ansiogeno. Ciò ha costretto la politica, Obama, a dare priorità alle rassicurazioni portandolo ad una figuraccia oscurantista: la reazione ad una scoperta eccezionale è stata che bisogna regolarla. Illuminata, invece, è stata quella della Chiesa. In conclusione, sembra che: (1) i futurizzanti abbiano imparato a comunicare, diversamente da qualche anno fa; (2) bisognerà despettacolizzare le questioni della vita rendendo pensiero normale che possa essere artificializzata; (3) se non si sfida la Chiesa mettendo in dubbio la natura divina dell'Uomo questa tende a sostenere il progresso. Le raccomandazioni fatte nel passato appaiono consistenti. Pertanto la rubrica userà la stessa logica bilanciata per produrne di nuove nella difficile materia della brevettazione dei risultati della biologia sintetica, precursore essenziale per il loro finanziamento.

Il Tablet di Apple non chiuderà, ma stimolerà, la ricerca di hypercom-graal

L’offerta nel settore Ict sta convergendo verso “hypercom”, inteso come terminale unico che possa integrare le funzioni di telefonia, gestione immagini, televisione, computer, browser su Internet, Gps, mezzo di pagamento, lettore di libri e quotidiani, ecc. Un solo gizmo portatile multifunzionale che sia l’interfaccia tra un individuo e qualsiasi sistema accessibile per via elettronica. La tecnologia sta arrivando al punto di rendere possibile tale evoluzione. Le reti ed i nuovi servizi su queste si stanno moltiplicando, ampliando i volumi di business. Già è avvenuta l’integrazione tra computer palmare e telefonino con accessi al web. Ora l’ultima frontiera per arrivare ad hypercom è quella di rendere il telefonino anche lettore di libri, giornali e video. Molti in competizione per offrirlo, Apple in testa. Ma per questo ultimo passo c’è un problema ergonomico: la leggibilità implica dimensioni più grandi di quelle accettabili per una comoda portabilità. Tre scenari: (a) gli utenti si adatteranno a un hypercom più grande dei telefonini classici; (b) molti non ci staranno e l’industria sarà stimolata a continuare la ricerca di una soluzione in unico microggetto; (c) i consumatori rinunceranno a hypercom adottando strumenti differenziati per dimensione.

Il primo ed il terzo comportano una depressione dello sviluppo dei gizmo lettori e relativo business. La difficoltà di integrare la lettura e la digitazione comode in un unico hypercom facilmente portabile, quindi piccolo, riduce il business che richiede leggibilità, cioè l’accesso totale ed interattivo a stampa, libri e tv/video, il vero affare del futuro perché ingigantisce l’infomercato. La portabilità di un terminal con funzioni totali aumenta la domanda di servizi. Se quelli che richiedono dimensioni maggiori degli schermi non diventano portabili, il potenziale di loro domanda non verrà saturato. C’è quindi una relazione tra portabilità, comodità, connettività integrata dei terminali e crescita dell’infomercato. Proprio per questo la rubrica ritiene più probabile lo scenario (b): l’ossessiva continuazione della ricerca di un hypercom a portabilità comoda che permetta di fare, ricevere, trasmettere e leggere tutto. Per esempio, terminali capaci di proiettare testi e tastiere in forma di immagini od ologrammi toccando i quali, con microappendici sulle unghie, si possa digitare o comunque interagire con il testo. In sintesi, il Tablet di Apple sarà un’evoluzione importante, ma, poiché non comodamente portabile o leggibile, non chiuderà la ricerca di hypercom, il “graal” che mette il mondo in mano. Ma la stimolerà.

La nuova ecologia artificiale richiede una Settima cibernetica

Sistema e ambiente. Per millenni la nostra specie ha artificializzato il pianeta per sua utilità con teorie ed ingegnerie relative al primo che non includono il secondo. Per questa incompletezza cognitiva la relazione tra i due tende ad essere reciprocamente distruttiva. La prima reazione a tale consapevolezza, dalla fine degli anni '60, è stata di spavento: fermare o limitare l'artificializzazione. Ma il fallimento del summit di Copenaghen nel 2009 sancisce la fine dell'era ecolimitativa. Il 2010 venga dedicato all'avvio di quella ecogenerativa.

I biosistemi umani sono basati sull'istinto di riproduzione/espansione illimitata. Se lo si comprime questi si ribellano o decadono. Per questo le soluzioni ecolimitative non sono fattibili. Ma l'espansione illimitata trova limiti e pericoli: (a) esaurimento delle risorse ambientali; (b) vulnerabilità crescente dei sistemi umani dovuta alla diffusione planetaria in tempi troppo brevi per adattarsi alla variabilità del pianeta. Per minimizzarli bisognerà sia ridisegnare la natura affinché produca più risorse e nuova varietà sia rifare i sistemi umani per renderli resistenti a qualsiasi variabilità ambientale e compatibili con la nuova natura. In sintesi, si tratta di rendere co-evolutivi, e non separati, sistema ed ambiente, ridisegnandoli ambedue ed includendoli in un'unica artificializzazione integrata. Progetto Ecogenesis. Per esempio, da un lato, irrigare i deserti desalinizzando le acque marine, ingegnerizzare vegetali più resistenti. Dall'altro, artificializzare il ciclo del cibo per ridurne impatto e scarsità, costruire insediamenti invulnerabili alle variazioni ambientali, rendere illimitata l'energia. In due o tre secoli si potrà fare guadagnando i millenni necessari per trasferire l'espansione antropica dall'endodestino terrestre all'esodestino nel cosmo. Ma la complessità di tale disegno è superiore a quella gestibile dagli strumenti cognitivi correnti. Pertanto l'avvio di Ecogenesis implica un passo precursore: astrazioni più potenti per ridurre e gestire la complessità, poi da trasferire alle ingegnerie. La rubrica ritiene che la riscoperta ed il rilancio della Teoria dei sistemi potrà dare tale risultato. Ma di quale suo ceppo? Quello cibernetico – scienza del controllo – che punta a costruire modelli dotati di una varietà di soluzioni che pareggi quella dei problemi, per questo "sistemi chiudenti". La Prima cibernetica (1956) usò metodi lineari, la Quarta (1980) non-lineari per trattare più complessità, ma ce ne vorrà una Settima (2020) supersintetica ed autoevolutiva per sostenere l'ambizione di Ecogenesis. Buon lavoro.

Per vincere in Afghanistan ci vuole una supertecnologia di infosaturazione del territorio.

Questa rubrica trova sorprendente che la Nato non applichi in Afghanistan sistemi di controllo del territorio sufficienti sia per offesa sia per difesa contro attentati ed imboscate. Nessuna critica. Ma va fatta una riflessione di scenario strategico sul come ridurne la vulnerabilità alla guerriglia. La soluzione qui proposta è tecnologica.

Le tecnologie oggi possibili permetterebbero la costruzione del seguente sistema di saturazione informativa del territorio da controllare. Una rete multilivello di osservazione sia ottica sia sensoriale a copertura permanente delle aree suddivise in quadrati. Ogni quadrato di territorio viene controllato da una rete di satelliti con alta capacità di risoluzione, con visione Sar (passa le nuvole) e con sensori che rilevano qualsiasi emissione elettromagnetica, termica, chimica, ecc.. Il tutto è integrato, via infofusione, da altre piattaforme, quali aerei robotizzati, aerostati, elicotteri, ecc. In ogni quadrato, inoltre c'è un sottosistema di sensori a terra (e sotto). Il tutto viene gestito da una sistema di intelligenza semiartificiale in grado di gestire la visione totale e da questa sia selezionare minacce incombenti sia inferire i modelli di comportamento del nemico e altro. Una capacità essenziale del sistema dovrebbe essere quella di "marcare" elettronicamente ogni singolo individuo rilevante e seguirne gli spostamenti 24h in remoto. Un'altra capacità prioritaria è quella di rilevare le mine sia con osservazione ottica continua che scopre chi le mette sia con sensori che individuano buche, metalli, esplosivi, ecc.. Essenziale, poi, creare la fanteria aerea per velocità di intervento: tutto via elicotteri e simili, poco via ruote, a piedi solo azioni puntuative. Tale sistema, pur fattibile, non c'è per due motivi. Il costo è enorme. Ma lo sarebbe anche il beneficio, considerando la riduzione di vittime e lo spin-off nel settore civile per sistemi di controllo dell'ambiente. Più importante, il pensiero militare è lento nell'adattarsi ai nuovi conflitti, nell'integrare forza aerea e terrestre, e non formula le giuste specifiche alle industrie.

Raccomandazioni. Per la Nato: (a) elaborare una nuova dottrina della superiorità aerea combinata con la saturazione informativa ed operativa del territorio a bassa intensità umana ed alta robotizzazione; (b) progetto Manhattan a costi condivisi per sviluppare in un biennio, con le industrie dell'Alleanza consorziate, il nuovo sistema. Per l'Italia: (c) spingere tale progetto vista la grande capacità dell'industria nazionale nel settore e la necessità di avere più vittorie e meno funerali.

Servono privati visionari per evitare la stagnazione del settore spaziale pubblico.

Dalla sua nascita (1998) questa rubrica è preoccupata dalla stagnazione, in occidente, dei progetti finalizzati a costruire insediamenti nello spazio extraterrestre. Per tre motivi: (a) il rubricante crede – strategia degli esodestini - che l'unica speranza di salvazione in vita degli umani sia la loro biotrasformazione, tra migliaia di anni, ma che ciò sarà possibile solo uscendo dai limiti ecologici del pianeta; (b) se l'occidente non si muove, la Cina emergente prenderà il controllo dello spazio esterno e dell'orbita annullandone la superiorità strategica nell'arco di 30-40 anni, scenario inaccettabile di sconfitta del capitalismo democratico da parte di quello autoritario; (c) l'Italia ha un'industria spaziale molto evoluta che ne è fattore di ricchezza, a rischio se i programmi europei ed americani restano vaghi e sottocapitalizzati. Entro ottobre Obama dovrà decidere una politica spaziale in base a cinque opzioni fornite qualche giorno fa dalla Nasa, esoagenzia leader dell'occidente. Sarà rilancio o regressione?

La Nasa ha preparato le opzioni con realismo. Si nota il tentativo di salvare gli investimenti già fatti sia in termini di continuazione del programma avviato da Bush nel 2004 (sostituire i vecchi shuttle con una nuova nave spaziale e tornare sulla Luna nel 2020) sia di miliardi spesi per finire la Stazione spaziale internazionale combinandoli con le restrizioni di bilancio e senza rinunciare ad esplorazioni nello spazio profondo. Ma manca una visione che concentri sforzi e risorse verso un obiettivo ambizioso. Non sarà certo Obama a darla perché ha priorità più terrene. Pertanto è prevedibile che la stagnazione dei programmi americani continuerà. Quelli europei sono altrettanto frammentati e senza temi forti. Quindi il settore stagnerà e sarà colpito dai tagli di bilancio. Come invertire tale tendenza che pregiudica i tre interessi sopra espressi? Il rapporto della Nasa fa una interessante apertura al coinvolgimento dei privati nei programmi spaziali. Tale idea potrebbe essere allargata e fornire una chiave di sblocco? Bisognerebbe rispondere alla domanda di come un privato può fare profitto in un esomercato e quanto in relazione all'investimento certamente grande per praticarlo. Turismo spaziale? Bah. Costruire industrie nello spazio per fare prodotti non fattibili sulla Terra o per rischiosità o per problemi di gravità? Qui il punto. Se lo si trova, molto dell'investimento già cumulato per le tecnologie spaziali potrà essere trasferito ai privati rendendo fattibile per loro il salto. Piacerebbe con queste parole stimolare qualche geniale imprenditore italiano.

La neogenesi sarà possibile nello spazio e non sulla Terra

ari futurizzanti, il primo scenario del 2009 è per voi, con le scuse per avervi trascurato nel 2008. Ma una precisazione è necessaria. Molti si sono lamentati perché la rubrica non tratta più i temi del progresso postumano che implica la liberazione dalla morte. Non è per vincolo. E non è certo per rinuncia del rubricante a modificare la spaventosa condizione umana: nascere per morire e star male solo perché la "stupida" evoluzione così ci ha disegnati. Per quei ricercatori – bio, tecno e socio - che chiedono alla rubrica di avanguardizzare sui media il consenso per la biocibernazione, questa è la risposta. La priorità è quella di minimizzare il conflitto tra tecnica e morale. L'opposizione della seconda può bloccare lo sviluppo della prima quando un'innovazione è agli inizi. Una volta avviata e dimostrato il suo vantaggio competitivo non c'è credenza che possa frenarla. La bioscienza, pur in suo settore criptato, è arrivata al punto di poter concepire la costruzione artificiale di organismi capaci di rimuovere le cause genetiche di morte, invecchiamento e malattia. Tale prospettiva, solo a dirla, produce choc. Non tanto per prevalenza oscurantista. I limiti sono nella società e nell'ecosistema. Per madri e padri il cui senso della vita, in sostanza, è la missione riproduttiva biocontinuista c'è un'inclinazione istintiva a rifiutare figli totalmente diversi da loro. Anche se fossero inventabili soluzioni per questo problema, non ce ne sono di terrestri per quello ecosistemico. Nella transizione sarebbe difficile gestire la diversità tra mortali ed immortali. I secondi senza limiti non potrebbero riprodursi in un'ecologia limitata. Quindi sulla Terra l'immortalità non mostra un vantaggio competitivo, anzi. I contrari hanno argomenti razionali oltre che emotivi per opporsi. La soluzione fattibile, invece, è quella di trasferire nello spazio il progetto di biocibernazione, senza impatto sulla Terra. Due speci, poi altre evoluzionisticamente infinite quanto l'Universo, quella terrestre lasciata come è, endoevoluzionistica. Quindi la strategia realistica è: prima uscire dal pianeta e poi, negli esohabitat, biocibernare. La buona notizia in materia è che l'India si è aggiunta ad America, Russia e Cina nella competizione per la conquista dello spazio. Tale pressione accelererà la costruzione di esobasi e astronavi. Un satellite indiano ha rilevato sulla Luna molto ferro che permetterà di costruirle in cantieri lunorbitali. Da qui evolverà la tecnologia dei megahabitat spaziali semoventi. In questi poi, o su altri pianeti, tra 2 o 3 secoli, sarà neogenesi. Per necessità.

Inizia l’era dove i paralizzati potranno camminare

Anni fa questa rubrica suggerì di far convergere gli sviluppi in diversi settori tecnologici per produrre esoscheletri capaci di far camminare grandi invalidi, paralizzati, nonché di sostenere la mobilità degli anziani: (a) esomoltiplicatori di potenza per i militari, leggeri e automaticamente adattabili ai gesti in atto; (b) il sistema di autoequilibrio inventato per il veicolo a due ruote Segway; (c) sistemi robotizzati per funzioni servoassistite. Per questo la rubrica segnala con eccitazione il primo passo concreto in tale direzione. L’israeliana Argo Medical Technologies ha annunciato la sperimentazione di un esoscheletro (tuta con rinforzi, nel caso) capace di dare la mobilità a chi non cammina. L’inventore è il paraplegico Amit Goffer. Si apre una nuova area di mercato con alto potenziale sia di business sia di salvazione. Ma lo sviluppo di tale tecnologia è ancora troppo lento per problemi sul lato dell’offerta e della domanda. Come risolverli per accelerare?

Il prototipo di Goffer richiede ancora l’uso di stampelle e non è manovrabile da grandi paralizzati. Ma sul lato dell’offerta i potenziali tecnologici sono maggiori, basta collegarli. Cosa esattamente è futurpossibile? Un esoscheletro indossabile comodamente, con peso inferiore ai 10kg batteria compresa (nanofibre). Ogni giuntura rilevante è micromotorizzata e gestita da un computer che anche assicura l’autoequlibrio del movimento (garanzia anticaduta). I paralizzati totali potrebbero manovrarlo con un chip nel cervello simile a quello sperimentato da Kibernetics.  In sintesi, si tratta di un robot indossabile e modulabile per far camminare gli inabili e potenziare i movimenti degli abili. Per sviluppare a tale livello il robot tutore, tuttavia, ci vuole un impulso di domanda che ora non c’è. Quello prodotto dagli inabili, pur tanti, è caratterizzata da soggetti mediamente poco capitalizzati in un ambiente di sanità statalizzata o gestita da assicurazioni che offre sopravvivenza, ma non qualità della vita. Oltre a definire un nuovo diritto alla mobilità per l’inabile, la chiave di mercato è quella di stimolare la domanda per robot tutori di potenziamento con fini sportivi e di lavori speciali (polizia, pompieri, costruzioni, servizi logistici, ecc.) per ingaggiare una fascia ricca del mercato. Ovviamente il vero impulso arriverà dagli imprenditori. Poiché l’Italia ha sorprendenti capacità residenti nel settore della robotica questo rubricante, anche imprenditore in tecnologie futurizzanti, per esempio www.vuzeta.com, chiama qui altri per condividere l’investimento di start up. Faremo soldi, salveremo gente. 

Evitare la guerra tra tecnica e morale

I neoilluministi sono infuriati perché gli articoli 13 e 14 della legge sulla fecondazione vietano il miglioramento genetico della condizione umana. Molti di loro invitano questa rubrica futurizzante a dichiarare guerra “aperta” ai bioproibizionisti. Calma. Tale blocco in Italia non pregiudicherà la biorivoluzione in corso sul piano globale. Non serve nemmeno un referendum abrogativo perché la realtà presto supererà la norma, per altro già aggirabile con tecnologie laterali e mobilità geografica. Primo punto: l’analisi storica delle rivoluzioni tecnologiche mostra che nei momenti iniziali di una discontinuità i conservatori riescono ad ostacolare gli innovatori, ma poi l’evidenza dei benefici portati dal cambiamento conquista le menti e adegua la morale alla novità. Quindi sarebbe inutile e rischioso, nella fase di avvio della biorivoluzione, voler affermare subito la superiorità morale e cognitiva di una salvazione antropica in quei luoghi dove la cultura è ancora ostile o impreparata. Si è usata la medesima strategia negli Usa: dopo una legge restrittiva la ricerca è continuata lo stesso.  La “guerra”, in prospettiva, è già vinta e possiamo perderla solo facendo l’errore di suscitare controreazioni che porterebbero i conservatori a regolare più cose di cui ora non si accorgono. Si lasci loro l’illusione di aver bloccato il divenire e non avranno motivi di insistere. Pare cinico, ma tale strategia è stata valutata dal circolo globale dei think tank futurizzanti come quella più sicura per spingere delle novità ad alto rischio di dissenso. Con una precisazione - secondo punto - basata sul calcolo di quanta libertà creativa possa sostenere una data ecologia fisica e sociale. La biorivoluzione entro il pianeta dovrà tener conto sia dei limiti naturali sia del requisito del consenso e quindi svilupparsi come “futurizzazione bilanciata”. Tale endoprudenza produrrà ritardi e costi aggiuntivi ai costruttori di novità nei prossimi decenni, ma diventerà un vantaggio nel lungo periodo perché una rivoluzione tecnologica consensuale fornirà le risorse per, poi, poter uscire dal pianeta. Ed è lì che, finalmente, sarà possibile l’esoantropogenesi illimitata spinta dal fatto che Homo, adattato alla Terra, dovrà per forza essere modificato totalmente e diventare esosapiens. Sulla Terra non sarà mai possibile conciliare l’illimitato con il limite e per questo il primo dovrà andarne fuori rispettando il secondo, pur allargandolo via innovazioni costanti, fino a che non ci riuscirà. Non pare una questione morale, ma ecologica: accedere ad un ambiente che sostenga più libertà generativa.     

Due significati di creazione della vita.

Creazione della vita. Questa espressione è uno dei fronti potenzialmente più caldi del conflitto tra tecnica e morale ispirata da una religione. Se la prima pretende di poter “creare”, allora assume lo status di una “teologia della sostituzione”: antropos può fare le stesse cose che fa Dio o un dio. Con estensioni post-apocalittiche: lo può fare persino meglio, per esempio eliminando malattie e morte. In sintesi, la biologia che esplora nuove forme viventi è esposta ad un rischio crescente di essere percepita come un teologia in conflitto con altre. Per questo in alcuni think tank si comincia ad analizzare il problema per evitare una guerra che intaccherebbe il consenso, e quindi i finanziamenti, alla biorivoluzione. Le ricerche preliminari indicano che il rischio si addensa prevalentemente nell’area cristiana. In questa il codice religioso unisce molto Uomo e Dio, anche fisicamente, e quindi la modifica genetica del primo implica un cambiamento della descrizione del secondo. Mentre, per esempio, in quello islamico il dio è un’entità remota e, soprattutto, l’Uomo non ne è somiglianza. Il buddismo è tanto flessibile, come lo scintoismo, da non far prevedere problemi. Che, invece, nella cultura cristiana sono dati per probabili sia per quanto detto sia perché la dottrina enfatizza il costante conflitto con il demonio e la vigilanza sui suoi furbi complotti. Per esempio, il progresso biologico potrebbe essere visto come una strategia di Lucifero: (a) separare la componente di potenza di Dio (immortalità) da quella morale (significato, amore); (b) rendere la prima obiettivo per la futura evoluzione di Homo, da Sapiens a Deus; (c) come incentivo per il tradimento del Padre (il limite): ti do la totipotenza in cambio dell’abbandono del legame con il suo Significato. Per togliersi da questi pasticci la biologia dovrebbe comunicarsi attraverso un linguaggio che minimizzi gli equivoci teologici. E chi pensa al come sta ristudiando la soluzione di Aristotele: confine netto tra fisica e metafisica. Ma la prima porta un significato di superiorità (misurabilità) sulla seconda (mistero) che porta al conflitto. Probabilmente sarebbe più diplomatico per la biologia cedere alla religione il primato, esplicitando che si occupa solo di “creazione secondaria”: riorganizziamo la vita che già esiste, ma non la creiamo. Così la “creazione primaria” ed il suo significato resterebbe, nel linguaggio, un monopolio di Dio. Divertente notare che con queste considerazioni si inaugura una nuova subdisciplina: “linguistica bioetica”. Quale nuovo termine potrà dare l’idea di una creazione che in realtà non è Creazione? Buon lavoro.  

 

L'ipotesi che la vita esista solo sulla terra é un motivo di espansione e non un limite).

Esostrategia. Nel 1945 (What is life?) Erwin Schrodinger ci regalò una formula ottimista che ridusse il pessimismo dovuto alla generalità immodificabile del secondo principio della termodinamica (Boltzmann). Questo recita che tutto tende al disordine, cioé a perdere organizzazione nel tempo. Il calore decade verso il freddo, l'universo ha come destino la morte termica: l'entropia. Che senso ha, allora, vivere e cercare la vita nel cosmo se questa, alla fine, sparirà? Da una parte, il secondo principio appariva inesorabilmente vero. Dall'altra, non spiegava come mai esiste la vita. Schrodinger risolse il problema senza violare la legge dell' entropia. La vita é un meccanismo capace di estrarre localmente ordine dalla tendenza generale al disordine. La formula, troppo bella per non citarla, riscrive il secondo principio così:

  - (entropia) = k log (1/D)

 Se D é una misura del disordine, il suo reciproco, 1/D, può essere visto come una misura diretta di ordine (vita). Dal momento che il logaritmo di 1/D é minore del logaritmo di D, l'entropia con il segno meno (entropia negativa o neghentropia) é essa stessa una misura di ordine. Significa che un sistema vive in quanto succhia organizzazione dal proprio ambiente. Ma vuol dire anche che la vita é un fenomeno locale e sporadico entro la tendenza generale alla morte. In sintesi, la vita é solo una possibilità e non una necessità. Tuttavia, applicando questo concetto al cosmo, possiamo dedurre che certamente "possono esistere" isole di neghentropia, cioé di vita, nell'oceano entropico. Ma quante? Carl Sagan e Frank Drake hanno elaborato un modello ottimistico che le ritiene molto frequenti. E, su questa base, si assume che vi siano milioni di forme di vita e di civiltà tra i miliardi di galassie. Ma Peter Ward e Donald Brownlee hanno da poco lanciato una bomba entropica su questo ottimismo neghentropico. Nel libro "Rare Earth" sostengono - con argomentazioni molto consistenti - che la vita ha trovato sulla Terra condizioni rarissime, irreperibili nel resto del cosmo. Pertanto é probabile che questa esista solo qui. Tutto il potenziale di entropia negativa dell'universo ha trovato solo un luogo dove ha potuto esprimersi come vita. La visione ottimistica fornitaci da Schrodinger e da Sagan-Drake viene seriamente compromessa dall'ipotesi "puntuativa" di Ward-Brownlee. Poiché non contraddice la variante neghentropica del secondo principio della termodinamica, pur riducendola ad un solo punto,. non possiamo escluderla. Adesso il problema é decidere con quale teoria guida dobbiamo guardare al cosmo e trovare i motivi per andarci. Vediamo.

 Il modello Sagan-Drake é considerato un forte  stimolatore culturale per l'esplorazione dello spazio. Gli interessati ritengono che l'idea di trovare altri esseri viventi crei consenso per le spese dedicate a questa ricerca. E i dati, in effetti, danno loro ragione. E' questo un buon motivo per combattere, politicamente, l'ipotesi che la vita esista solo sulla Terra? Dalle reazioni correnti nel mondo scientifico (e in quello industriale collegato all'esoeconomia) parrebbe di sì. A me sembra, invece, che l'ipotesi Ward-Brownlee possa diventare una grande risorsa. Se ci si pensa bene, infatti, ora abbiamo due buoni motivi, e non solo uno, per andare nel cosmo: alla curiosità di trovare nostri simili (Sagan-Drake) si potrebbe aggiungere la missione di diffondere la vita nel cosmo dalla Terra che ne é unico e prezioso seme. Con questo voglio dire che l'ipotesi Ward-Brownlee contiene un potenziale stimolativo maggiore dell'altra. L'idea che la vita esista solo da noi ne amplifica enormemente il valore e potrebbe generare una nuova missione: l'obbligo di diffonderla dappertutto e, quindi, di dedicare più risorse economiche all'uscita dal pianeta. Ovviamente la trasformazione del modello puntuativo in uno stimolatore forte per l'esogenesi richiede che qualcuno operi come sacerdote della nuova mistica di inseminazione del cosmo. Ma non é improbabile che ciò possa avvenire quando la società globalizzata avrà esaurito le motivazioni tradizionali e ne cercherà di nuove. Infatti i dati cominciano già nel presente a segnalare la domanda di una nuova missione. In questo possibile scenario l'ipotesi Ward-Brownlee ha un potenziale neghentropico (generativo, mobilitante, direzionale) enormemente superiore a quella apparentemente più ottimista di Sagan-Drake. Ma quale delle due é vera? Il punto é che ambedue sono inconfutabili ed allo stesso tempo consistenti. Tale situazione di indecidibilità durerà a lungo. Ma é una risorsa e non un problema. Ci permetterà, appunto, di utilizzare due teorie guida per la conquista del cosmo, enfatizzando l'una o l'altra a seconda del clima sociale corrente. In sintesi, é un guadagno. E' divertente notare che un'ipotesi limitativa del raggio di neghentropia contiene in se un altissimo potenziale, invece, per espanderla. Così é la vita. 

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